Davanti al miracolo. Popolo e istituzioni fra legittimazione e affermazione di un culto nel XVI secolo

Davanti al miracolo. Popolo e istituzioni fra legittimazione e affermazione di un culto nel XVI secolo

Abstract: Miro a mostrare le dinamiche di riconoscimento e affermazione dei culti legati a Vergini miracolose nel XVI secolo. Il problema ha due differenti prospettive: il ruolo dei fedeli nella nascita della devozione e la prospettiva istituzionale della legittimazione e pubblicizzazione del culto. Intorno alle Madonne miracolose si aggregavano dinamiche che coinvolgevano le autorità ecclesiastiche, i governanti laici e la popolazione. La devozione spontanea della popolazione verso un’immagine miracolosa riusciva a porre problemi che iniziavano il processo di legittimazione e pubblicizzazione del nuovo culto: alla spinta della devozione popolare si sostituiva la volontà di amministrare l’icona delle istituzioni lai-che ed ecclesiastiche, che decidevano l’accesso dei fedeli alla Vergine miracolosa.

Il mio contributo mira a mostrare le dinamiche di riconoscimento e affermazione dei culti legati a Vergini miracolose nel XV e XVI secolo. In particolare intendo trattare il problema da due differenti prospettive, quella del ruolo dei fedeli nella nascita della devozione e nel suo perdurare, e quella di natura istituzionale della legittimazione e “pubblicizzazione” del culto. Mi propongo di dimostrare come intorno alle Madonne che operavano miracoli si aggregassero dinamiche complesse, che spesso coinvolgevano le autorità ecclesiastiche cittadine, i governanti laici e la popolazione in diversa misura e con differenti rapporti. Credo infatti che nel caso dei santuari mariani non sia completamente valida né una chiave di lettura che veda il riconoscimento e la propagazione del culto come processo interamente gestito dall’alto, né un’interpretazione che si basi solo sul sentimento religioso dal “basso”.

Come ha recentemente sostenuto Elena Bonora nel dibattito sulle devozioni post tridentine, un approccio totalmente antropologico-culturale rischia di sopprimere gli aspetti politico istituzionali, con un conseguente impoverimento della storia sociale: i fedeli emergerebbero solo come «comunità scarsamente formalizzate, con fragili o inesistenti riferimenti a contesti giuridici più larghi». D’altra parte è impossibile non riconoscere come la devozione spontanea della popolazione verso un’immagine miracolosa riuscisse a porre problemi – sia di gestione pratica, sia legati al riconoscimento formale della capacità miracolistica dell’icona -, tali da mettere in moto la macchina ecclesiastica cittadina e da dare il via al processo di legittimazione e di pubblicizzazione del nuovo culto.

Il popolo gioca un ruolo fondamentale nella nascita di una nuova devozione: come è noto, il miracolo si manifesta inizialmente a una o più persone appartenenti alla comunità locale. La storiografia ha fatto notare come di frequente sia un «mediatore innocente» ad assistere per primo alla potenza dell’azione mariana. Il mediatore può essere un bambino, come nel caso di Jacopino di Antonio, e di Olivia: Jacopino, «d’età d’anni octo circa» fu il primo ad assistere al miracoloso animarsi dell’icona della Madonna dipinta su una parete delle Stinche, le vecchie carceri di Prato, dove il bambino era stato condotto da un grillo:

Et quivi dal grillo guidato, vide decto Jacopino la figura della Gloriosissima Vergine Maria la quale era et è dipinta sopra la finestra ferrata di decte Stinche spiccarsi dal muro nel quale era dipinta et porre in terra in quello vile luogo et a piè di decta finestra el suo Gloriosissimo figliuolo, et quello, inginochioni, pichiandosi colla mano el pecto, adorare.

Olivia aveva invece tre anni quando, grazie all’aiuto di una «Zia vestita di bianche vesti» che «si chiamava […] Maria Vergine» riuscì ad uscire viva dal bosco in cui si era perduta. Anche le donne fanno parte della categoria dei mediatori innocenti: nel 1430 fu la contadina Vicenza Pasini ad assistere all’apparizione della Vergine su Monte Berico e nell’aprile del 1546, ben quarant’anni prima del processo canonico voluto da Carlo Borromeo, furono «certe vidue» che videro la lacrimazione di una statua della Madonna della Neve contenuta in una piccola cappella in rovina su una strada del paese di Rho.

 

A complicare ulteriormente la questione riguardo la radice prevalentemente popolare o istituzionale dei nuovi culti si pone il problema della ‘continuità del sacro’ così come definita da Alphonse Dupront nel 1987: spesso accade che il miracolo che porterà all’affermazione del culto, sia da parte popolare, sia da parte istituzionale, non sia il primo operato dalla Vergine. Lo dimostra proprio il caso della Madonna di Rho: la «cappelletta» era stata edificata da un «gentil huomo da Gallarate», a cui «nil detto luogo passando di notte vi si fermò il cavallo, et ingienocchio il chi più volte fatto, fu sforzato lasciar la briglia al cavallo», l’uomo allora si recò a casa da solo, ma quando arrivò «fu certificato che da nemici suoi era aspettato nella strada dritta per essere ammazzato»; ventiquattro anni dopo questo episodio, la cappella era andata in rovina a causa delle guerre e l’immagine stessa della Madonna era tanto rovinata che «le si potevano ascondere entro le mani», fu allora che le vedove videro piangere l’icona e avvertirono la popolazione che, quando si recò alla cappella, «trovarono insieme che era di modo serrata et coglutinata insieme quell’apertura, che non si sarebbe giudicato, che mai fosse stata aperta». Ma l’attività della Madonna di Rho non si fermò lì: dopo una serie di miracoli “minori”, nel 1583 aveva lacrimato di nuovo davanti a Girolamo de Ferris e Alessandro detto de Marchettini; i due erano insieme a «prendere la perdonanza» quando Alessandro «vedde la l’ochio de la madonna quella cosa brutta», i due allora decidono di aprire la grata che li separava dall’immagine e provano a levare con uno «straciolo di panetto brutto» quella «brodeghisia» dall’immagine: fu allora che il panno si macchiò di rosso e videro «due lacrime che venevano già da l’ochio per la facia sino alla bocca». Fu in seguito a questo miracolo che, infine, si ebbe l’intervento delle istituzioni ecclesiastiche. Qual è, dunque, la differenza fra un prodigio che viene dimenticato e un miracolo che dà vita ad un santuario? Dopo aver analizzato numerosi casi di studio legati all’attività miracolosa di icone mariane fra XV e XVII secolo, ritengo che l’affermazione del potere sovrannaturale di un’immagine o altro attributo mariano sia legata principalmente a due fenomeni fra loro strettamente connessi: la diffusione del racconto del miracolo fra la popolazione e la legittimazione dei miracoli da parte di un’autorità laica, ma più spesso ecclesiastica e, in particolare, vescovile. Il canale privilegiato attraverso il quale la notizia del miracolo viaggia è quello orale: è il racconto dei testimoni, che passa di bocca in bocca, che inizia a far confluire i fedeli nel luogo in cui la Vergine si è mostrata, si diffonde oltre i confini del centro abitato o dalle periferie raggiunge la città.

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