Pico di Bisanzio e il mosaico barbaro: exemplum di una storia in chiaroscuro

Pico di Bisanzio e il mosaico barbaro: exemplum di una storia in chiaroscuro

Abstract: Il presente saggio intende approfondire il divario che sussiste tra sapere accademico e grande pubblico attraverso l’analisi di un fumetto per ragazzi. Nella storia Pico di Bisanzio e il mosaico barbaro, apparsa in Topolino (n. 3301, 27 febbraio 2019) si può notare infatti come la narrazione del rapporto tra barbari e romani oscilli tra le più recenti interpretazioni storiografiche ed i più tradizionali stereotipi sulle invasioni barbariche. Partendo dall’analisi di alcune vignette significative, si cercherà quindi di isolare gli elementi stratificatosi nell’immaginario collettivo sul conto dei barbari affrontando alcuni dei temi centrali nel dibattito scientifico, in particolare l’integrazione romano-barbarica, e riflettendo sui compromessi necessari in un prodotto di intrattenimento.

This essay aims to explore the gap between academic knowledge and the mainstream culture through the analysis of a children’s comic novel. In the story Pico di Bisanzio e il mosaico barbaro (Pico of Byzantium and the Barbarian Mosaic), which appeared in Topolino (n. 3301, 27 February 2019), it can be observed how the narration of the relationship between the Barbarians and the Romans oscillates between the most recent historiographic interpretations and the more traditional stereotypes on the barbarian invasions. Starting from the analysis of some significant vignettes, it will therefore be attempted to isolate the elements stratified in the collective imaginary concerning the barbarians, focusing on some topics which are crucial in the scientific debate, in particular the Roman-Barbarian integration, and reflecting on the necessary compromises in an entertainment product.

1. Le premesse

In campo storiografico sono state fornite nel tempo molte interpretazioni diverse al concetto di Medioevo, soprattutto per quanto riguarda la sua fase iniziale, quella barbarica. Dalla lettura rinascimentale che vi individua un’epoca buia, passando per le interpretazioni nazionaliste che vi guardano come al momento fondante delle identità politiche europee di epoca moderna, si giunge alla rivalutazione attuatasi a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso sulla scorta di studi sempre più multidisciplinari, fino ad arrivare a una nuova contrazione e al ritorno dei canoni di lettura più tradizionali. Il tentativo di respingere a ogni costo l’idea di decadenza dell’Impero romano porterebbe infatti, secondo alcuni studiosi, a trascurare dati storici importanti poiché non rispondenti alle ipotesi di partenza e ciò contribuirebbe a formare «un pregiudizio sistematicamente ottimista che, per respingere l’idea di decadenza, finisce col ritenere trascurabili i gravi avvenimenti politici e militari che sfociarono nella scomparsa dell’Impero in Occidente». Per tale motivo, se prima del 1971 è la “teoria del declino” a dominare la storiografia tardoantica, se tra il 1971 e il 1999 il concetto di trasformazione getta nell’oblio il declino, nell’ultimo decennio del XX secolo riprende forza l’idea di decadenza e di crisi. Una fase particolare, in cui una formula ben congeniata, o poche parole messe insieme in modo brillante, sono sufficienti per legare un’intera epoca a un fenomeno ben specifico. Si pensi, ad esempio, alle teorie mono-causali di stampo prettamente ottocentesco: l’«eliminazione dei migliori» di Otto Seeck, l’inadeguatezza istituzionale proposta da José Ortega y Gasset o ancora i «barbari assassini» di André Piganiol. Sono interpretazioni forti, che godono di notevole successo nell’immediato e che, pur soggette a revisioni importanti, sono destinate a riprendere vigore nel momento stesso in cui riemerge la necessità, per alcuni storici, di recuperare l’idea di “crisi della civiltà”. Gli esempi sono diversi, solo per richiamarne qualcuno: Andrea Carandini, Aldo Schiavone, Wolf Liebeschuetz o Bryan Ward-Perkins.

Il primo tentativo di riportare ordine in tale fermento storiografico è stato compiuto da Guy Halsall. In un articolo del 1999, lo storico britannico distingue le contrastanti posizioni interpretative sul declino dell’Impero romano in due filoni principali: Movers e Shakers. La prima categoria tende a porre particolare enfasi sul ruolo dei barbari come causa del crollo dell’Impero romano in Occidente e intravede, dunque, una frattura netta tra mondo antico e medievale. La seconda, invece, riconosce quali fattori dominanti e determinanti i cambiamenti e le trasformazioni interne all’Impero stesso. Se tra i Movers compaiono i nomi di storici come Peter Heather e Bryan Ward-Perkins, tra gli Shakers spiccano invece Patrick Amory e, soprattutto, Walter Goffart. Come afferma Tommaso di Carpegna Falconieri: «la sensazione secondo la quale il mondo sta tornando a un nuovo medioevo è straordinariamente presente nel nostro contemporaneo, e basta farsi un giro sul web per rendersene conto». Tuttavia, se la ricerca scientifica sul periodo tardoantico gode oggi di un notevole dinamismo, come ben messo in evidenza dal dibattito tra Movers e Shakers, rimane escluso da queste dinamiche il grande pubblico, trascurato dai professionisti e tanto oggetto delle strumentalizzazioni stereotipate operate dai media quanto soggetto passivo della manualistica scolastica. Ciò che più dovrebbe far scattare un campanello di allarme è il divario che si riscontra nei confronti dei progressi della storiografia all’interno dei prodotti rivolti alle generazioni più giovani. Se la Tarda Antichità quale periodo di complessa e composita transizione tra l’Antichità latina classica e l’Alto Medioevo trova ancora poco spazio nei manuali scolastici italiani, recidivi nel presentare la decadenza seguita alle cosiddette invasioni barbariche, quel «l’altro Medioevo» trova sorprendentemente un proprio spazio, per quanto limitato, ironico, contornato di grossolani errori e non ben evidenziato, all’interno di uno tra i più conosciuti fumetti per ragazzi in ambito italiano, vale a dire «Topolino». Considerando il fumetto come un “agente di storia”, Ugolotti afferma che «il fumetto, mass media concepito alla fine dell’Ottocento ma germogliato nel Novecento, ha allargato gli orizzonti geografici e temporali dell’immaginario di milioni di lettori in tutto il globo», e può essere utile dunque addentrarsi in una sua storia, Pico di Bisanzio e il mosaico barbaro, per analizzare, al di là del tono parodistico insito nelle trame a “sfondo” storico pubblicate in «Topolino», quanto e come quell’immaginario sulla Tarda Antichità sia presentato al pubblico di lettori più e meno giovani. «Attraverso i baloon e le vignette, – continua Ugolotti – l’arte sequenziale […] ha creato un sognante canale preferenziale tra la storia e l’immaginazione, dando forma, colore […], parole e azione a mondi spesso lontanissimi dal nostro […] questa forma di produzione culturale stringe quindi con il passato un doppio rapporto: interpretazione “storiografica” degli eventi raccontati ma anche fonte storica delle società che tale prodotto ha generato e a cui è destinato».

2. I (paper)goti distruttori

Quinto secolo d.C.! L’Impero Romano di Occidente è sconvolto dalle invasioni barbariche, mentre quello di Oriente, l’Impero Bizantino (dalla sua capitale Bisanzio, l’odierna Istanbul) prospera! La capitale d’Occidente, Ravenna, è appena tornata in mano ai bizantini di Paperoniano, che ha sconfitto i paperogoti di Rockerico!

Inizia così la storia Pico di Bisanzio e il mosaico barbaro apparsa su «Topolino» n. 3301 del 27 febbraio 2019. La trama, «ambientata in un periodo storico molto movimentato per l’Impero Romano», ha come focus principale la disputa tra Paperoniano (nelle vesti dell’imperatore romano d’Oriente Giustiniano) e Rockerico (diretta trasposizione del re goto Teoderico). I contendenti devono commissionare un mosaico in onore di una Ravenna in fase di restauro dopo la distruzione subita durante la guerra goto-bizantina, per ottenere, come posta in palio, i diritti commerciali sulla capitale occidentale.


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