The Stealer of Dreams Tarantino’s Sixties, or Filming the Void. Parte 4: Hateful Now!

The Stealer of Dreams Tarantino’s Sixties, or Filming the Void. Parte 4: Hateful Now!

Abstract: In Cool Now! abbiamo voluto mostrare come il cinema di Quentin Tarantino, la cui espressione ultima è rinvenibile nell’omaggio ai 1960s hollywoodiani di C’era una volta a … Hollywood (2019), possa essere letto quale preciso modo di produzione estetica dei 2000s, modo che abbiamo scelto di definire
«Rule of Cool». In ordine alla contestualizzazione del discorso sui Sixties di Tarantino, con Sublime Now! si è cercato di ripercorrere gli stessi attraverso la figura del “dionisiaco americano”, rilevando come la rappresentazione fattane dal regista in C’era una volta a … Hollywood sia molto lontana dalle logiche e dalle pratiche estetiche che hanno contraddistinto i 1960s in America e in particolare a Hollywood. In Apocalypse Now!, invece, siamo andati alla ricerca della rappresentazione della “fine” dei Sixties attraverso una delle sue espressioni più iconiche, appunto Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (1979), paradigma di un modo d’intendere il cinema che ci è apparso come la contraddizione perfetta di quello di Tarantino. Come in una sorta di sonata – dove la prima e l’ultima parte si richiamano l’un l’altra, mentre quelle centrali fungono da stacco – è ora possibile tornare ai 1960s di Quentin Tarantino, per così approfondirne le idiosincrasie e magari rivelarne quella che riteniamo costituire l’essenza del suo cinema, come anche di quello che è sostanziato dalla Rule of Cool. Un cinema, cioè, che sempre di più tende a sconfinare nell’advertising e nella logica della pornografia, allo stesso tempo proponendosi, come in ogni «regime di estetizzazione» (che è una delle possibili traduzioni di Rule of Cool), quale negazione della ragione critica e narrativa. L’universalizzazione metodologica della Rule of Cool, dai 2000s una invisibile e quasi inaggirabile ideologia di scrittura cinematografica, rappresenta, infatti, un attacco a quel valore universale dell’uomo, a quel diritto umano verrebbe da dire, che è lo storytelling. Quando l'arte del racconto e il suo rigore logico decadono, quando la fabula, slegata da ogni ferrea logica dell'intreccio e potenziata dagli strumenti del neuromarketing, viene ridotta unicamente a mera tecnica di affabulazione, diventando un epifenomeno della coolness, il rischio è che a seguire sia una decadenza culturale, sociale, morale ed intellettuale. Perché un’umanità senza storie, senza più niente (di sensato) da raccontare, da ascoltare e di cui nutrirsi, in fondo è un'umanità che brancola nel buio, alla deriva sotto un cielo privo di stelle in un mondo governato dal caos e da potenze numinose che lo soggiogano e lo confondono, ubique ed irraggiungibili, allo stesso tempo vicine e lontane, presenti ed assenti, indifferenti e incomprensibili; un'umanità senza passato e senza futuro, senza storia, e quindi impossibilitata al cambiamento, ad essere diversa da ciò che è, preda di un turbinio di sensazioni tanto immediate quanto fuggevoli, dell'arbitrio di un presente senza memoria e senza speranza, un presente senza libertà.

In Cool Now! si è cercato di mostrare come il cinema di Quentin Tarantino, quello che ha trovato una sua espressione privilegiata nell’omaggio ai 1960s hollywoodiani di C’era una volta a … Hollywood (2019), possa essere letto come un preciso modo di produzione estetica dei 2000s, e che abbiamo scelto di definire come “Rule of Cool”. La Rule of Cool, enfatizzando il ruolo del piacere sensoriale (coolness), estetico nel suo senso più retrivo e non percettivo, come la sostanza stessa del cinema, ha trasformato il cinema come arte del visibile in una sorta di “pornografia” per tutti, mainstream, cioè in un dispositivo dove la rappresentazione diventa un mezzo atto essenzialmente a provocare “eccitazione”. Sempre di più lo storytelling, che fino al principio dei 2000s si riteneva costituisse uno degli aspetti fondamentali di tutto ciò che è variamente definibile come arte, è venuto ad essere messo in secondo piano, in più di un’occasione diventando del tutto accessorio, un epifenomeno della coolness e non, come crediamo debba essere, il contrario. In ordine alla contestualizzazione del discorso sui 1960s di Tarantino, con Sublime Now! abbiamo voluto ripercorrere i Sixties in Usa ed a Hollywood attraverso la figura del “dionisiaco americano”, rilevando come la rappresentazione fattane da Tarantino in CVH si mostri molto lontana dalle logiche e dalle pratiche estetiche che hanno contraddistinto i 1960s in America e ad Hollywood. Con Apocalypse Now!, invece, siamo andati alla ricerca della rappresentazione della “fine” dei Sixties attraverso una delle sue espressioni più iconiche, appunto Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (1979). Manifestazione di una precisa urgenza storica ed estetica, in Apocalypse Now abbiamo voluto scovare il paradigma di un modo d’intendere il cinema che appare come la contraddizione di quello di Tarantino e, per estensione, di quello sostanziato dalla Rule of Cool. Come in una sorta di sonata – dove la prima e l’ultima parte si richiamano l’un l’altra, mentre quelle centrali fungono da stacco –, dopo aver attraversato il tempo, storico ed estetico dei Sixties è ora possibile, tornare ai 1960s di Quentin Tarantino, per approfondirne le sue idiosincrasie e così magari rivelare – “decostruire” potremmo dire, quella che riteniamo l’essenza del suo cinema, come anche di quello sostanziato dalla Rule of Cool.

Stealer-Tarantino-Hollywood

In questo senso, emerge anche la ragione della separazione del discorso in più parti, cioè in entità discrete, poiché ognuna – descrivendo “stati di cose” diversi (per dirla con Greimas) – è allo stesso tempo autonoma e residuale rispetto alle altre (da qui anche, come accennavamo in Cool Now!, una certa ripetizione, talvolta retorica, di nuclei tematici e semantici). Seppur in questa parte abbandonando l’esplicito approfondimento storico che voleva contraddistinguere la seconda e terza parte, tale mancanza è solo in superficie, poiché ciò che anima il discorso è proprio una precisa consapevolezza storica, quella declinabile come storia del presente. Riteniamo, infatti, che una delle principali criticità della media delle interpretazioni e/o analisi critiche sul cinema di Tarantino sia quella di ignorare che esso è essenzialmente espressione di una «nerd culture» e di una radicale cultura dell’estetizzazione, sempre storicamente situate. Nerd Culture ed estetizzazione che, lo abbiamo visto in Apocalypse Now!, sono potute nascere solo a seguito di particolari eventi storici, culturali ed economici, che a loro volta poi sono stati fatti confluire in quel calderone che è andato definendosi attraverso la categoria del “postmoderno”/“postmodernismo”. Altrimenti detto, leggere i film di Tarantino dopo il 2000 (e, quindi, anche quelli sostanziati dalla Rule of Cool) attraverso quelle stesse teorie critiche ed analitiche che hanno definito i criteri di valutazione cinematografici del XX secolo, ed ignorandone lo specifico – sempre storicamente determinato – della grammatica visiva e “narrativa” che invece li contraddistingue e li differenzia dal cinema per come esso è stato inteso appunto fino al 2000, è cosa destinata, quasi sempre, al fallimento; e questo, ovviamente, a prescindere dal fatto che il cinema sia inteso come “d’autore” o “commerciale”, poiché – lo vedremo meglio in seguito – queste sono categorie che ogni regime di estetizzazione tende a mettere tra parentesi e/o far sfumare. È anche per questa ragione che in Hateful Now! faremo spesso riferimento ad opere della cosiddetta “nerd culture” e della cultura “crossmediale”, poiché senza questi riferimenti ed affidandosi unicamente a criteri di analisi classici, soprattutto quelli del cinema cosiddetto d’autore, il rischio è quello di lasciarsi sfuggire la “verità” di questo “cinema”, la logica che ne è andata a definire la percezione e la ricezione estetica.

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Marras_THE_STEALER_OF_DREAMS_Hateful_now