1922. “The Nymphs are departed”, “just a shade of anxiety”

1922. “The Nymphs are departed”, “just a shade of anxiety”

Abstract: Nel 1922 vengono pubblicati due testi che cambiano profondamente il concetto di tradizione letteraria: The Waste Land di T. S. Eliot e Ulysses di J. Joyce.
In entrambi l’ironia è utilizzata come baluardo contro una tradizione stagnante, radicata in una realtà dicotomica, degradata e teatrale, che vuole offrire un’immagine di facciata immacolata tendente alla perfezione, per nascondere fondamenta sordide e apparentemente immutabili.
In entrambi, pur con intenti diversi, si utilizza a più riprese l’immagine della prostituta per significare una condizione di disfunzionalità emozionale, sociale ed artistica che come uno specchio incrinato riflette la morale contemporanea (e che a un secolo di distanza non si è ancora risolta).
Tra indicibilità e incomunicabilità, il linguaggio del pensiero irrompe nella letteratura e ne scardina i meccanismi di rappresentazione, accostando immagini e voci come oggetti scintillanti in un boudoir.

1922. A pochi anni dalla fine del più tremendo conflitto bellico che la storia annoveri fino a quella data, nonostante l’apparente ripresa socioeconomica molti intellettuali in tutta Europa, sgomenti di fronte alla deriva umana e sociale conseguenza della guerra, si interrogano sulle significazioni profonde del ruolo della tradizione e della cultura di fronte al perbenismo borghese di facciata che nasconde lo sfruttamento delle debolezze umane. Se gli Anni Venti sembrano caratterizzati da una “fame di vita” e di ripresa che si traduce nel turbinio di una juissance de vivre frenetica, il senso di ansia, insicurezza, disintegrazione che si insinua nelle pieghe della realtà sociale si riflette nella letteratura, così che il nuovo secolo di scienza e progresso comincia come un’eco del pessimismo di Schopenhauer tra lo swing e il jazz nelle sale da ballo. La torre d’avorio in cui gli scrittori e gli artisti (per lo più middle-class men) si rifugiano, incapaci di descrivere la complessità dell’agire umano, non è più ritta, ma pende. Il focus dell’attenzione poetica si sposta dall’Uomo nella sua posizione storico-sociale, al rapporto tra questa e la percezione della realtà, poiché l’esercizio della razionalità si rivela un dominio solo presunto: non riuscendo più a vedersi come un riflesso di Dio, l’essere umano diviene tutt’a un tratto un animale disperato in una terra sconosciuta, maschera di un personaggio su di un brillante palco ove si avvicendano ombre, forme e suoni in una caleidoscopica pantomima.

Quest’idea di teatro che tutto ingloba, in cui tutto succede e ogni personaggio si riplasma, rimodulandosi sul significato apparente cui in quel momento si trova a dar voce, ben si configura nella rappresentazione del bordello e del boudoir come luoghi allegorici in cui sono ambientati i momenti centrali di due testi dirompenti pubblicati uno all’inizio e uno alla fine dell’anno, Ulysses di James Joyce e The Waste Land di T. S. Eliot, editi in volume rispettivamente all’inizio di febbraio e in dicembre, dopo essere stati entrambi divulgati su testate giornalistiche inglesi e americane.

Il bordello: «il luogo del peccato per eccellenza, frequentato spesso e volentieri, seppur in segreto, per evitare scandali». Come rimarca Biasiolo, gli spazi proibiti, goduti, ammiccanti del bordello e del boudoir, che però è più intimo e frequentato da una clientela più esclusiva ed è pertanto situato in una posizione fisica e letteraria più elevata, «diventano luogo privilegiato di osservazione di molti artisti, i quali traducono dello stesso una specifica iconografia che diventa vera e propria scrittura di un corpo architettonico, contenitore a sua volta di corpi regolati e gestiti, ma comunque accattivanti, ritratti in solitudine o in relazione ad altri corpi, ad esempio quelli delle compagne o delle clienti».

1922-Joyce-Eliot
Zak Fett, Bordoir, 2020, art giclée

In entrambi i testi considerati in questa sede, tuttavia, l’immagine (de)scritta è filtrata attraverso la lente dell’ironia, strumento pungente dello sguardo critico che l’intellettuale utilizza per prendere coscienza della frammentazione del reale in cui è immerso: una situazione di apparenza, in cui la tradizione non è più un valore pieno su cui poggiare il rinnovamento della civiltà ma un’abitudine meccanica, svuotata delle sue significazioni profonde, un simulacro cui la società stessa è assuefatta e dietro cui si trincera per schivare la molestia della necessità di cambiamento.

Il bordello dublinese in Circe, quindicesimo capitolo dell’Ulisse che R. Brown evocativamente definisce «carnival-cum-riot», è metafora dell‘inclusione caotica e fagocitante di ogni cosa, di un tutto che si mescola, si confonde e confonde, in cui ognuno è se stesso e altro da sé. Come il palazzo della Circe omerica, «riccioli belli, tremenda dea della parola umana», creatura immortale dalla voce umana descritta nel canto X e XI dell’Odissea, è teatro di mutazioni, sortilegi e degrado delle aspettative amorose. Donna bellissima, ingannatrice conturbante, Circe viene descritta nei secoli come figura in bilico tra seduttrice e prostituta, che trasforma per proprio piacere gli uomini in animali secondo il loro carattere e le loro pulsioni, somministrando loro una bevanda incantata (φάρμακα – pharmaka). Ulisse scampa al suo inganno avvertito da Ermes, mescolando al filtro un’erba magica, il moly (si noti l’assonanza del nome della pianta con quello della moglie di Bloom, l’Ulisse joyciano: Molly, la cui accettazione della molteplicità di sfaccettature della propria condizione di donna apre e chiude circolarmente l’ultimo episodio del testo e quindi tutto il libro). L’episodio dell’Odissea joyciana echeggia il mito omerico nelle immaginarie trasformazioni di Bloom, prima “porco”, perché voglioso di soddisfare le proprie pulsioni animalesche, poi uomo idealizzato, nelle sue visioni irrealizzabili di giustizia sociale, poi donna-vittima di una prostituta maschilizzata e quindi al tempo stesso donna-uomo e uomo-donna, per giungere infine all’unica vera trasformazione, fedele alla tradizione omerica che vede Odisseo responsabile nei confronti dei propri compagni, che lo porta alla posa ragionevole, pragmatica e protettiva che manterrà per il resto del libro. Già dall’episodio seguente, il primo della parte II del libro (Nostos, il ritorno), Mr. Bloom (ora insignito dell’appellativo della rispettabilità) accudisce Stephen (il Telemaco joyciano, e al contempo alter-ego dell’autore in quanto artista) e lo redarguisce:

[…] Mr Bloom, who at all events, was in complete possession of his faculties, never more so, in fact disgustingly sober, spoke a word of caution re the dangers of nighttown, women of ill fame and swell mobsmen, which, barely permissible once in a while, though not as a habitual practice, was of the nature of a regular deathtrap for young fellows of his age […] (U, 16.60-66).

Secondo Karen Lawrence, Circe «fornisce il palcoscenico per il rilascio libidinoso delle pulsioni nel linguaggio e nei personaggi». Il turbinare di azioni subite e non-azioni inconcludenti che si susseguono nell’episodio intorno e all’interno del bordello, confondendo realtà e fantasia, sfocia in una rissa all’esterno – rissa causata dalla volontà di un soldato (oppressore) di difendere (immotivatamente) l’onore della corona inglese e della donna con cui s’accompagna – Cissy Caffrey, una prostituta. Il fatto stesso che ci fossero soldati nella Nighttown, il distretto a luci rosse di Dublino è molto rilevante; da un punto di vista storico-sociale,

[i]l bordello rinchiude la prostituta; è una delle architetture che segnano il suo confino in quanto, generatrice del turbamento, pur essendo per lo più di fatto tollerata nell’esercizio del suo mestiere, deve essere comunque emarginata in precisi ambienti. La casa chiusa è un mondo delimitato, uno spazio di fantasia, vizio e desiderio. Topograficamente il luogo del peccato è posto ‘al confine’: il termine attesta il suo essere ‘ai bordi’ della città, là dove le mura segnano il limite della vita sociale dalla quale il cittadino trae le regole del suo agire. Il quartiere a luci rosse è anch’esso, sebbene parte del tessuto cittadino, in un perimetro chiuso; la strada, dove la prostituta attende spesso il cliente, spazio di transito e di attesa, è situata solitamente in una zona periferica, […] dove può essere facilmente consumato un rapporto senza alcuna compromissione.

Nei primissimi anni del secolo, Maud Gonne e altri avevano protestato sul fatto che le ragazze irlandesi si consorziassero con soldati nemici, spesso come prostitute. Per facilitare il reclutamento, che dopo la Guerra Boera si era notevolmente ridotto, l’esercito aveva lasciato decadere l’obbligo per gli uomini di dormire in caserma; ne conseguiva, secondo Maud, il fatto che O’Connell Street fosse ormai piena di giubbe rosse che camminavano con le loro ragazze, «con il risultato che quasi ogni notte ci fossero risse», e in effetti, battersi coi soldati divenne una sorta di intrattenimento serale molto popolare tra i giovanotti. Nel 1904 Maud scrisse addirittura ai giornali «sostenendo una lagnanza ufficiale di Dublino rispetto al fatto che cinquemila soldati britannici fossero clienti abituali delle prostitute di Tyrone e O’Connell Street».

[…]

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