La Spera: la prostituta e l’utopia. La Nuova Colonia di Luigi Pirandello alla luce della semiologia di Roland Barthes
Il 7 gennaio 1977 Roland Barthes inaugura la cattedra di Semiologia Letteraria al Collège de France con un fascinosissimo intervento passato alla storia con il titolo di Lezione. La questione affrontata è una di quelle a cui quest’ultimo dedica un’attenzione continua, vale a dire il rapporto tra linguaggio e potere. Specificamente, egli mostra che il linguaggio è il luogo dove si consumano forme di esclusione e di controllo certamente paragonabili a quelle incarnate dal potere istituzionalizzato. Egli dimostra che questo accade a causa del fatto che le lingue rappresentano una macchina produttrice di stereotipi, ovvero di «mostri» che incarnano «l’implacabile potere della constatazione» per cui ciò che è multiforme viene «assoggettato» dalla classificazione linguistica e, quindi, culturale. Tenendo conto che l’essere umano non può uscire dal linguaggio senza uscire dalla storia, scarse e scabrose sono le strade che possono essere percorse per sottrarsi a questo specifico tipo di potere. Una di quelle più proficuamente percorribili è la scrittura teatrale in quanto essa ci permette «proprio dall’interno della lingua servile, una vera eteronomia delle cose». Questo lavoro è dedicato a La nuova colonia di Luigi Pirandello. Si tratta di una commedia in un prologo e tre atti rappresentata a Roma per la prima volta il 24 marzo 1928 al Teatro Argentina e pubblicata nello stesso anno a Firenze dall’editore Bemporad.
Dedicata a Marta Abba, sua protagonista femminile, essa rappresenta un originalissimo punto di vista circa la figura della prostituta. In una Italia dominata dal fascismo che nel frattempo si era dotato, tra l’altro, di una legislazione che faceva sì che le prostitute venissero arrestate non solo in quanto presunte portatrici di immoralità, ma anche in quanto «sovversive» e, una volta scontata la pena, finissero al confino o in manicomio, Pirandello affida la sua utopia politica proprio alle parole e alle azioni di quella “donnaccia” che non a caso egli chiama La Spera. In termini più specificamente barthesiani, La nuova colonia è certamente un testo che contribuisce a controbilanciare il potere di irreggimentazione che abita la lingua in quanto luogo in cui si annida la «ripetizione» e la «gregarietà».
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